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Italia – aumenti di capitale: il Decreto Semplificazioni complica la posizione dei soci di minoranza
24 Ottobre 2020
- Diritto societario
- Private equity
Riassunto – L’art. 44 del D.L. 16.7.2020 n. 76 (cosiddetto ‘Decreto Semplificazioni’) prevede che, fino al 30.6.2021, le operazioni di aumento del capitale da parte di società per azioni, società in accomandita per azioni e società a responsabilità limitata, possano essere deliberate con il voto favorevole della maggioranza del capitale sociale rappresentato in assemblea, a condizione che sia presente almeno la metà del capitale sociale, anche qualora lo statuto stabilisca maggioranze più elevate.
La norma ha un rilevante impatto sulla posizione dei soci (e investitori) di minoranza delle società italiane non quotate, la cui tutela è frequentemente affidata (anche) alle clausole statutarie che stabiliscono maggioranze qualificate per l’approvazione degli aumenti di capitale.
Descritta la norma, si svolgeranno alcune considerazioni sulle conseguenze e le possibili tutele per i soci di minoranza, limitatamente alle società non quotate.
Decreto Semplificazioni: la diminuzione delle maggioranze per l’approvazione degli aumenti di capitale nelle società per azioni, nelle società in accomandita per azioni e nelle società a responsabilità limitata italiane
L’art. 44 del D.L. 16.7.2020 n. 76 (cosiddetto ‘Decreto Semplificazioni’)[1] ha diminuito in via temporanea, sino al 30.6.2021, le maggioranze per l’approvazione da parte dell’assemblea straordinaria di alcune deliberazioni di aumento del capitale sociale.
La norma riguarda tutte le società di capitali, comprese quelle quotate. Si applica alle deliberazioni dell’assemblea straordinaria aventi ad oggetto:
- gli aumenti di capitale mediante conferimenti in danaro, di beni in natura o di crediti, ai sensi degli artt. 2439, 2440 e 2441 c.c. (relativi alle società per azioni e alle società in accomandita per azioni) e degli artt. 2480, 2481 e 2481-bis c.c. (relativi alle società a responsabilità limitata);
- l’attribuzione agli amministratori della facoltà di aumentare il capitale, ai sensi dell’art. 2443 c.c. (relativo alle società per azioni e alle società in accomandita per azioni) e dell’art. 2480 c.c. (relativo alle società a responsabilità limitata).
La disciplina ordinaria prevede, per le deliberazioni sopra indicate, le seguenti maggioranze:
- per le società per azioni e le società in accomandita per azioni: (i) in prima convocazione una maggioranza deliberativa di più della metà del capitale sociale (art. 2368, secondo comma, c.c.); (ii) in seconda convocazione una maggioranza deliberativa dei due terzi del capitale sociale rappresentato in assemblea (art. 2369, terzo comma, c.c.);
- per le società a responsabilità limitata, una maggioranza deliberativa di più della metà del capitale sociale (art. 2479-bis, terzo comma, c.c.);
- per le società quotate una maggioranza deliberativa dei due terzi del capitale sociale rappresentato in assemblea (art. 2368, secondo comma e art. 2369, terzo comma, c.c.).
Soprattutto, la disciplina ordinaria consente di stabilire nello statuto maggioranze costitutive e deliberative qualificate, cioè più elevate di quelle di legge.
La disciplina temporanea dell’art. 44 del Decreto Semplificazioni prevede che le deliberazioni siano approvate con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea, a condizione che sia presente almeno la metà del capitale sociale. Questa maggioranza sia applica anche qualora lo statuto preveda maggioranze più elevate.
Decreto Semplificazioni: l’impatto della diminuzione delle maggioranze per l’approvazione degli aumenti di capitale sui soci di minoranza delle società non quotate italiane
La norma ha un rilevante impatto sulla posizione dei soci (e investitori) di minoranza delle società italiane non quotate. È fortemente criticabile, in particolare nella parte in cui consente di derogare alle maggioranze più elevate stabilite nello statuto, perché incide sui rapporti in corso e sugli equilibri concordati tra i soci e riflessi nello statuto.
Le maggioranze qualificate, più elevate di quelle di legge, per l’approvazione degli aumenti di capitale sono una tutela fondamentale per i soci (e gli investitori) di minoranza. Vengono frequentemente introdotte nello statuto: in sede di costituzione della società con più soci, nell’ambito di operazioni di aggregazione, in operazioni di investimento, di private equity e di venture capital.
Le maggioranze qualificate impediscono ai soci di maggioranza di realizzare senza il consenso dei soci di minoranza (o di alcuni di essi), operazioni che hanno un impatto rilevante sulla società e sulla posizione dei soci di minoranza. Infatti, gli aumenti di capitale mediante conferimenti di beni riducono la percentuale di partecipazione del socio di minoranza e possono modificare significativamente l’attività della società (ad esempio, con il conferimento di azienda). Gli aumenti di capitale in denaro mettono il socio di minoranza di fronte all’alternativa tra investire ulteriormente nella società o ridurre la propria partecipazione.
La riduzione della percentuale di partecipazione può implicare la perdita di importanti tutele, connesse al possesso di una partecipazione superiore a una determinata soglia. Si tratta non solo di alcuni diritti previsti dalla legge in favore dei soci di minoranza[2], ma – con effetti ancora più gravi – delle tutele derivanti dalle maggioranze qualificate previste nello statuto per l’assunzione di determinate decisioni. Il caso più eclatante è quello della maggioranza qualificata per le deliberazioni che modificano lo statuto sociale, affinché le modifiche non possano essere approvate senza il consenso dei soci di minoranza (o di alcuni di essi). Questa è una clausola fondamentale, per assicurare stabilità alle disposizioni statutarie, concordate tra i soci, a tutela del socio o dei soci di minoranza, quali ad esempio i diritti di prelazione e co-vendita, il voto di lista per la nomina del consiglio di amministrazione, le maggioranze qualificate per l’assunzione di decisioni dell’assemblea o del consiglio di amministrazione, i limiti ai poteri delegabili dal consiglio di amministrazione. Attraverso l’aumento di capitale, la maggioranza può ottenere una percentuale di partecipazione che le consenta di modificare lo statuto, scardinando unilateralmente l’assetto di governance concordato con gli altri soci.
Il legislatore si è disinteressato di tutto questo e ha introdotto una norma che non semplifica. Piuttosto alimenta i conflitti tra i soci e mina la certezza del diritto, così allontanando gli investimenti anziché incentivarli.
Decreto Semplificazioni: verifiche e tutele per i soci di minoranza rispetto alla diminuzione delle maggioranze per l’approvazione degli aumenti di capitale
Per valutare la situazione e le tutele del socio di minoranza occorre esaminare l’eventuale patto parasociale vigente tra i soci. L’esistenza di un patto parasociale sarà pressoché certa in operazioni di private equity o venture capital o da parte di altri investitori professionali. Ma al di fuori di questi casi sono tantissime le società, specialmente tra le piccole e medie imprese, in cui i rapporti tra i soci sono disciplinati esclusivamente dallo statuto.
Nel patto parasociale dovrà essere verificato se vi siano clausole che obblighino i soci, quali parti del patto, ad approvare gli aumenti di capitale con maggioranza qualificata, cioè più elevata di quelle di legge. Oppure se il patto richiami un testo di statuto (allegandolo o attraverso un rinvio specifico) che preveda tale maggioranza, cosicché si possa ritenere che il rispetto della maggioranza qualificata costituisca una obbligazione assunta dalle parti del patto parasociale.
In questo caso, il patto parasociale tutelerà il socio o i soci di minoranza, in quanto l’art. 44 del Decreto Semplificazioni non introduce una deroga alle clausole del patto parasociale.
La tutela offerta dal patto parasociale è forte, ma inferiore rispetto a quella dello statuto. La clausola dello statuto che prevede una maggioranza qualificata vincola tutti i soci e la società, pertanto l’aumento del capitale non può essere validamente approvato in violazione dello statuto. Il patto parasociale, invece, ha efficacia solo obbligatoria (tra le parti del patto), per cui non impedisce l’approvazione da parte della società dell’aumento del capitale, anche qualora il voto del socio violi le obbligazioni del patto parasociale. In questo caso, gli altri soci avranno il diritto al risarcimento del danno subito in conseguenza della violazione del patto.
In assenza di un patto parasociale che obblighi i soci a rispettare una maggioranza qualificata per l’approvazione dell’aumento del capitale, al socio di minoranza resta unicamente la possibilità di impugnare la delibera di aumento del capitale, per vizio di abuso di maggioranza, qualora la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società e il voto del socio di maggioranza persegua un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale, ovvero qualora sia lo strumento di una attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a ledere i diritti dei soci di minoranza[3]. Strada molto in salita e tutela certamente insufficiente.
[1] Il Decreto Semplificazioni è stato convertito in legge dalla L. 11 settembre 2020, n. 120. La legge di conversione ha sostituito l’art. 44 del Decreto Semplificazioni, estendendo la disciplina temporanea ivi prevista agli aumenti di capitale in denaro e agli aumenti di capitale delle società a responsabilità limitata.
[2] Ad esempio: la percentuale del 10% (33% per le società a responsabilità limitata) per il diritto dei soci di ottenere la convocazione dell’assemblea (art. 2367, c.c.; art. 2479, c.c.); la percentuale del 20% (10% per le società a responsabilità limitata) per impedire la rinuncia o la transazione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2393, comma sesto, c.c.; art. 2476, comma quinto, c.c.); la percentuale del 20% per l’esercizio da parte del socio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2393-bis, c.c.).
[3] Cass. Civ. 12 dicembre 2005, n. 27387; Trib. Roma, 31 marzo 2017, n. 6452.
Le operazioni di acquisizione (M&A) in Italia, nella maggior parte dei casi, vengono realizzate attraverso acquisto di partecipazioni (‘share deal’) o di azienda o ramo d’azienda (‘asset deal’). Per ragioni principalmente fiscali sono più frequenti gli share deal rispetto agli asset deal, nonostante l’asset deal consenta una migliore limitazione dei rischi per l’acquirente. Vedremo le principali differenze tra share deal e asset deal in termini di rischi e di rapporti tra venditore e acquirente.
Preferenza per operazioni di M&A mediante acquisto di partecipazioni (‘share deal’) rispetto ad acquisto di azienda o ramo d’azienda (‘asset deal’) nel mercato italiano
In Italia, le operazione di acquisizione (M&A) vengono realizzate, nella maggior parte dei casi, attraverso acquisto di partecipazioni (‘share deal’) o di azienda o ramo d’azienda (‘asset deal’). Altre modalità, come la fusione, sono meno frequenti.
Con l’acquisto di quote o azioni della società acquisita (‘share deal’) l’acquirente acquisisce, indirettamente, l’intero patrimonio aziendale (attività, passività, rapporti) e quindi si fa carico di tutti i rischi relativi alla precedente gestione della società.
Con l’acquisto dell’azienda o di un ramo d’azienda (‘asset deal’) l’acquirente acquisisce un insieme di beni e rapporti organizzati per l’esercizio dell’impresa (immobili, impianti, dipendenti, contratti, crediti, debiti, ecc.). Il vantaggio dell’asset deal risiede nella possibilità per le parti di definire il perimetro del trasferimento e, quindi, per l’acquirente, di limitare i rischi legali dell’operazione.
Nonostante questo vantaggio, la maggior parte delle operazioni di acquisizione in Italia avviene attraverso acquisto di partecipazioni. Nel 2018 gli acquisti di partecipazioni (azioni o quote) sono state circa 78.400, mentre le cessioni di azienda sono state circa 35.900 (fonte: www.notariato.it/it/news/dati-statistici-notarili-anno-2018). E va osservato che il dato delle cessioni d’azienda comprende anche le aziende di piccole o piccolissime dimensioni esercitate da imprenditori individuali, per le quali l’alternativa dello share deal (pur praticabile, attraverso il conferimento dell’azienda in una newco e la cessione delle partecipazioni nella newco) non è percorribile in concreto per ragioni di costo.
Costi fiscali delle operazioni di acquisizione (M&A) in Italia
La principale ragione della preferenza per l’acquisto di partecipazione (‘share deal’) rispetto all’acquisto di azienda (‘asset deal’) risiede nei costi fiscali dell’operazione. Vediamo quali sono, in linea generale.
Nell’acquisto di partecipazioni, le imposte dirette a carico del venditore vengono calcolate sulla plusvalenza, secondo le seguenti percentuali:
- se il venditore è una società di capitali (s.p.a.; s.r.l.; s.a.p.a.) l’aliquota è del 24% della plusvalenza. Ma, a determinate condizioni, si applica il regime della c.d. PEX (participation exemption) con applicazione dell’aliquota del 24% solo sul 5% della plusvalenza.
- Se il venditore è una persona fisica l’aliquota sulla plusvalenza è del 26%.
- Se il venditore è una società di persone (s.s.; s.n.c..; s.a.s.) la plusvalenza è integralmente imponibile, tuttavia al ricorrere di determinate condizioni, l’imponibilità è limitata al 60% dell’ammontare della plusvalenza. In entrambi i casi l’aliquota applicabile è quella marginale riferita a ciascun socio a cui il reddito viene imputato per trasparenza.
Nell’acquisto di partecipazioni si applica l’imposta di registro, normalmente a carico dell’acquirente, di euro 200.
Anche nell’acquisto di azienda, le imposte dirette a carico del venditore vengono calcolate sulla plusvalenza. Se il venditore è una società di capitali, l’aliquota è del 24% della plusvalenza. Se il venditore è una società di persone (con soci persone fisiche) o un imprenditore individuale, le aliquote dipendono dal reddito del venditore.
Nell’acquisto di azienda si applicano le imposte indirette, normalmente a carico dell’acquirente, calcolate sulla parte del prezzo attribuibile ai singoli beni trasferiti. Il prezzo è il risultato delle attività trasferite detratte le passività trasferite. Le percentuali sono diverse a seconda del tipo di beni. In generale:
- ai beni mobili si applica una imposta di registro del 3%;
- all’avviamento si applica una imposta di registro del 3%;
- ai fabbricati si applica una imposta di registro del 9% (e imposte ipotecarie e catastali in misura fissa di euro 50 ciascuna);
- ai terreni si applica una imposta di registro tra il 9 e il 12% (a seconda dell’acquirente) e imposte ipotecarie e catastali in misura fissa di euro 50 ciascuna.
Nel caso in cui l’azienda sia composta da beni soggetti ad aliquote diverse e le parti abbiano pattuito un corrispettivo unico, senza distinzione in merito al valore attribuibile ai singoli beni, l’imposta deve calcolarsi applicando all’unico corrispettivo pattuito l’aliquota più elevata.
Va sottolineato che l’Agenzia delle Entrate può sottoporre ad accertamento il valore attribuito dalle parti ai beni immobili e all’avviamento, con conseguente rischio di applicazione di maggiori imposte.
Share deal e asset deal: rischi e responsabilità verso i terzi
Nell’acquisto di quote o azioni (‘share deal’) l’acquirente si fa carico, indirettamente, di tutti i rischi relativi alla precedente gestione della società.
Nell’acquisto dell’azienda o di un ramo d’azienda (‘asset deal’), invece, le parti possono decidere il perimetro del trasferimento (quali beni e rapporti) così stabilendo, nei rapporti tra loro, i rischi che l’acquirente assume.
Vi sono però alcune norme, che le parti non possono derogare, relative ai rapporti con i terzi, che influiscono significativamente sui rischi per il venditore e l’acquirente e quindi sulla negoziazione dell’accordo tra le parti. Le principali sono le seguenti.
- Lavoratori dipendenti: il rapporto di lavoro continua con l’acquirente dell’azienda. Il venditore e l’acquirente sono obbligati in solido per tutti i crediti del lavoratore al momento del trasferimento (art. 2112 c.c.).
- Debiti: il venditore è obbligato al pagamento di tutti i debiti sino alla data del trasferimento. L’acquirente è obbligato per i debiti che risultano dai libri contabili (art. 2560 c.c.).
- Debiti e responsabilità fiscali: il venditore è obbligato al pagamento di debiti, imposte e sanzioni fiscali relative al periodo sino alla data del trasferimento.
L’acquirente, in aggiunta all’obbligo relativo ai debiti fiscali che risultano dai libri contabili (art. 2560 c.c.), è responsabile per le imposte e sanzioni, anche se non risultano dai libri contabili, con i seguenti limiti (art. 14 D.lgs. 472/1997): - beneficio della preventiva escussione del venditore;
- fino al valore dell’azienda o del ramo d’azienda acquistato;
- per le imposte e sanzioni non ancora contestate, la responsabilità riguarda solo quelle relative all’anno della vendita dell’azienda e ai due precedenti; per le imposte e sanzioni relative al periodo anteriore ai due anni precedenti la vendita dell’azienda, la responsabilità riguarda solo quelle contestate entro tale periodo;
- nei limiti del debito risultante alla data di trasferimento dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria. L’Agenzia delle Entrate è tenuta a rilasciare un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e sui debiti. Il certificato negativo, o non rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta, libera l’acquirente da responsabilità.
- Contratti: le parti possono scegliere quali contratti trasferire. Rispetto ai contratti trasferiti, l’acquirente subentra, anche senza il consenso del terzo contraente, nei contratti per l’esercizio dell’azienda che non hanno carattere personale (sono a carattere personale quelli che prevedono da parte del venditore una prestazione oggettivamente infungibile o soggettivamente infungibile). Inoltre il terzo contraente può recedere dal contratto entro tre mesi, se sussiste una giusta causa (ad esempio se l’acquirente non garantisce, per la propria situazione patrimoniale o per capacità tecniche, di poter adempiere al contratto) (art. 2558 c.c.).
Alcuni strumenti per affrontare i rischi
Per affrontare i rischi derivanti dalle responsabilità verso i terzi e i rischi generali connessi all’acquisizione, vi sono diversi strumenti negoziali e contrattuali che possono essere utilizzati. Vediamone alcuni.
Nelle operazioni di acquisto dell’azienda o di rami d’azienda (‘asset deal’):
- Lavoratori dipendenti: è possibile concordare con il lavoratore modifiche alle condizioni contrattuali e rinunce alla responsabilità solidale dell’acquirente e del venditore (ex art. 2112 c.c.). L’accordo con i lavoratore per essere valido deve essere concluso in sede ‘protetta’ (ad esempio: con l’assistenza delle organizzazioni sindacali).
- Debiti:
- trasferire all’acquirente i debiti riducendo il prezzo in misura corrispondente; la riduzione del prezzo comporta, inoltre, una minor costo fiscale dell’operazione. In caso di trasferimento dei debiti, per tutelare il venditore si può ottenere dal creditore una dichiarazione di liberazione del venditore dalla responsabilità ex art. 2560 c.c.; oppure si può prevedere che il pagamento del debito da parte dell’acquirente avvenga contestualmente al trasferimento dell’azienda (‘closing’).
- Per i debiti non trasferiti all’acquirente, ottenere dal creditore una dichiarazione di liberazione dell’acquirente dalla responsabilità ex art. 2560 c.c.
- Per i debiti per i quali non sia possibile ottenere la dichiarazione di liberazione da parte del creditore, pattuire forme di garanzia a favore del venditore (per i debiti trasferiti) o a favore dell’acquirente (per i debiti non trasferiti), quali ad esempio la dilazione del pagamento (a favore dell’acquirente) di parte del prezzo, il deposito fiduciario (‘escrow’) di parte del prezzo, fideiussioni bancarie o da parte dei soci.
- Debiti e responsabilità fiscali:
- ottenere dall’Agenzia delle Entrate il certificato ex art. 14 D.lgs. 472/1997 sui debiti e le contestazioni in corso;
- trasferire all’acquirente i debiti riducendo il prezzo in misura corrispondente;
- pattuire le forme di garanzia a favore del venditore (per i debiti trasferiti) e a favore dell’acquirente (per i debiti non trasferiti o per le contestazioni che non sono ancora debiti), quali ad esempio quelle sopra esposte per i debiti in generale.
- Contratti: per quelli che vengono trasferiti:
- verificare che le prestazioni a carico del venditore sino alla data del trasferimento siano state regolarmente adempiute, per evitare il rischio di contestazioni del terzo contraente che possono bloccare l’esecuzione del contratto;
- almeno per i contratti più importanti (e salvo ragioni di riservatezza), cercare di ottenere conferma dal terzo contraente del benestare al trasferimento del contratto.
Nelle operazioni di acquisto di partecipazioni (‘share deal’), in cui l’acquirente si fa carico, indirettamente, di tutti i rischi relativi alla precedente gestione della società, alcuni strumenti sono:
- Due diligence. Svolgere una approfondita due diligence legale, fiscale e contabile sulla società, per valutare preventivamente i rischi e gestirli nella trattativa e nei contratti.
- Dichiarazioni e garanzie (‘R&W’) e indennizzo. Prevedere nel contratto di acquisizione (‘share purchase agreement’) un set dettagliato di dichiarazioni e garanzie – e obblighi di indennizzo in caso di non conformità – a carico del venditore relativamente alla situazione della società (‘business warranties’: bilancio; situazione patrimoniale di riferimento; contratti; contenzioso; rispetto della normativa ambientale; autorizzazioni per lo svolgimento dell’attività; debiti; crediti ecc.). La trattativa sulle dichiarazioni e garanzie normalmente recepisce, gestendoli, gli esiti della due diligence (ad esempio: viene escluso dalle dichiarazioni e garanzie e dall’indennizzo un contenzioso emerso in due diligence, del quale le parti tengono conto nella definizione del prezzo). La pattuizione di dichiarazioni e garanzie sulla situazione della società (‘business warranties’) e dell’obbligo di indennizzo sono necessari negli share deal in Italia, in quanto in mancanza di tali clausole l’acquirente non può ottenere dal venditore (salvo situazioni estreme e molto rare) un risarcimento o indennizzo in caso la situazione della società sia diversa da quella considerata al momento dell’acquisto (così ad esempio: Cass. Civ. 16963/2014).
- Garanzie per l’acquirente. Strumenti per garantire all’acquirente l’effettiva possibilità di ottenere l’indennizzo (o parte dell’indennizzo) in caso di non conformità delle dichiarazioni e garanzie. Tra queste: (a) la dilazione del pagamento di parte del prezzo; (b) il versamento di parte del prezzo in un deposito fiduciario (‘escrow’) per la durata delle dichiarazioni e garanzie e, in caso di contestazioni, fino a che la contestazione non è definita; (c) fideiussione bancaria;; (d) polizza W&I, contratto di assicurazione che copre il rischio dell’acquirente in caso di violazioni di dichiarazioni e garanzie, sino ad un importo massimo (ed esclusi alcuni rischi).
Altri fattori che incidono sulla scelta tra share deal e asset deal
Naturalmente la scelta di realizzare un’operazione di acquisizione in Italia mediante share deal o asset deal, dipende anche da altri fattori oltre a quello dei costi fiscali dell’operazione. Eccone alcuni.
- Acquisto di parte del business. Si sceglie l’asset deal, quando l’operazione non riguarda l’acquisto dell’intera azienda del venditore ma solo una sua parte (un ramo d’azienda).
- Situazione della società problematica. Si sceglie l’asset deal quando la situazione della società target è così problematica che l’acquirente non è disponibile ad assumere tutti i rischi derivanti dalla precedente gestione, ma solo parte di essi.
- Mantenimento di un ruolo da parte del venditore. Si sceglie lo share deal quando si vuole conservare al venditore un ruolo nella società acquisita. In questo caso, oltre ad un ruolo nel management, è frequente il mantenimento da parte del venditore di una partecipazione di minoranza, con clausole di exit (diritti di put e call) decorso un certo periodo di tempo. Clausole che, spesso, legano il prezzo ai risultati futuri e, quindi, nell’interesse dell’acquirente incentivano il venditore nel ruolo manageriale e, nell’interesse del venditore, valorizzano prospettive reddituali non concretizzate al momento dell’acquisto.
Cyprus is emerging as a new investment fund centre in Europe following the efforts for evolving and upgrading the regulatory and compliance framework which was initiated in the late 1990s. The enactment of the Alternative Investment Funds Law, No. 131(I)/2014 (AIF Law) is the latest development which aimed at the creation of an attractive and competitive environment for further enhancement and development of the alternative funds industry in Cyprus. The AIF Law replaced the previous regime under which Cyprus managed to develop into a regional domicile for investment funds and their managers.
The following possibilities for alternative investment funds (AIFs) were introduced by the AIF Law:
- Umbrella funds with multiple investment compartments/sub-funds which may adopt different investment policies and manage different pools of assets
- Transferability of shares
- Public offerings of AIF’s shares or units
- Listing of securities issued by AIFs
AIFs may be open-ended or closed-ended and may take one of the following legal forms:
- Fixed Capital Company
- Variable Capital Company
- Limited Partnership
- Common Fund (contractual)
The relevant rules applicable to the respective legal form are based on Anglo-Saxon common law principles which are incorporated in Cyprus law (company law, partnerships law and contract law etc.).
AIFs may have a limited or unlimited duration.
Investor Classification
AIFs may be established either to be marketed to retail investors or to professional and/or well informed investors (see below for the exception applicable to AIFs with limited number of persons). Investor classification is to be made on the following basis:
- Professional Investor: For an investor to be considered as professional investor the requirements for professional clients under Markets in Financial Instruments Directive 2004/39/EC (MIFID) must be satisfied. A basic characteristic of professional investors is the fact that they possess the experience, knowledge and expertise to make their own investment decisions and to properly assess the risks they incur.
- Well-Informed Investor: A well-informed investor is not a professional investor within the above meaning but one who:
- confirms in writing the well-informed investor status and awareness of the risks related with the proposed investment; and
- makes an investment of at least €125.000 or has been assessed as having the expertise, experience and knowledge in evaluating the suitability of the investment opportunity in the AIF by a credit institution, investment firm or a management company for Undertakings for the collective Investment in Transferable Securities (UCITS Management Company)
- Retail Investor: A retail investor is an investor who does not fulfil the above requirements so as to be classified as a professional or well-informed investor.
Types of AIFs
The AIF Law allows for the establishment of AIFs to be addressed to an unlimited number of investors as well as for funds addressed to a limited number of persons (maximum 75) who may only be professional and/or well-informed investors.
AIFs to be addressed to an unlimited number of investors must to comply with minimum initial capital requirements i.e. €125.000 if externally managed and €300.000 if self-managed.
AIFs may be subject to investment restrictions depending on the investor type, the category of the assets to be held in their portfolio and the overall investment policy to be adopted. On the other hand, AIFs with limited number of investors are subject to a lighter legal and regulatory framework and are not subject to investment restrictions or investment limits.
Management of AIFs
AIFs may be managed externally by a manager appointed to perform the management of the portfolio of assets and related services. Different entities may undertake this role depending on the type of AIF:
- For AIFs with unlimited number of investors the external manager may be:
- An Alternative Investment Fund Manager (AIFM) established under local law or under the Alternative Investment Fund Managers Directive
- A UCITS Management Company established under local law or under the Undertakings for the collective Investment in Transferable Securities Directive
- A MIFID Investment Firm established under local law
- An AIFM established in a third country but complying with the relevant provisions of the local legislation
- For AIFs with limited number of investors the external manager may be:
- A MIFID Investment Firm established under local law or the MIFID
- A UCITs Management Company established under local law
- An entity established under local law solely for the purpose of managing a specific AIF with limited number of investors
- An entity established in a third country and licensed to provide asset management services and subject to prudential supervision
In the case of AIFs which are companies, the AIF Law provides the option of self-management whereby the management of the portfolio of assets is performed by the board of directors subject to certain restrictions (cap on value of the assets under management, restrictions on leverage, lock-up periods).
Depositary
The depositary of an AIF may be a credit institution or a MIFID Investment Firm or other entity which is subject to prudential regulation and ongoing supervision and which is eligible to act as depositary under its home state legislation.
The depositary must have its registered office in Cyprus or in another member state of the European Union or in a third country, provided that the Cyprus Securities Exchange Commission has signed with the competent authorities of the third country a Memorandum of Understanding for Cooperation and Exchange of Information.
Under certain circumstances it is possible for small AIFs with limited number of persons not to appoint a depositary.
Utilisation of the AIFs
AIFs may be utilised for investments in a wide range of asset classes. Such funds have been established for investments in debt and equity securities as well as real estate and private equity. In a structure with multiple investment compartments/sub-funds, different compartments/sub-funds may invest in diverse asset classes.
Key benefits
- Cost-efficient and simple set-up process with fees being significantly lower than in the more mature fund centres e.g. Ireland and Luxembourg
- A single and accessible regulator for the alternative funds and their managers
- Flexibility as to the asset classes that may be included in the AIF portfolio
- Transparency, reporting and risk management aiming at investor protection
- Regulated environment in line with the European Union regulatory framework for Alternative Investment Fund Managers, MIFID Investment Firms and UCITSs
- Passporting of the marketing of funds in the European Union where the manager is an AIFM
- Redomiciliation in and out of Cyprus is possible
Taxation
Cyprus’ growth in this sector has been driven by the country’s tax treaty network, originally rendering it a jurisdiction for launching investments funds with investments primarily into Russia, the former Soviet republics and Eastern Europe but recently also in Asian countries.
Main aspects of tax treatment in Cyprus:
- Subject to 12.5% flat corporation tax
- Exemption from tax on dividends received by the AIF
- Exemption from tax on profits from sale of securities or other instruments (except where the securities are in companies owning immovable property in Cyprus)
- No subscription tax on assets of funds
- Exemption on capital gains tax from the sale of immovable property located outside Cyprus
- No capital gains tax on disposal of shares/units by the holders
- Benefiting from an extensive network of more than 50 double tax treaties offering interesting tax planning opportunities
In a rapidly changing funds industry, the options and opportunities available for the setting up and operation of alternative investment funds under the Cyprus regulatory regime are worth exploring by fund managers, investors and their advisors.
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Le operazioni di acquisizione (M&A) in Italia: share deal o asset deal
25 Settembre 2019
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Riassunto – L’art. 44 del D.L. 16.7.2020 n. 76 (cosiddetto ‘Decreto Semplificazioni’) prevede che, fino al 30.6.2021, le operazioni di aumento del capitale da parte di società per azioni, società in accomandita per azioni e società a responsabilità limitata, possano essere deliberate con il voto favorevole della maggioranza del capitale sociale rappresentato in assemblea, a condizione che sia presente almeno la metà del capitale sociale, anche qualora lo statuto stabilisca maggioranze più elevate.
La norma ha un rilevante impatto sulla posizione dei soci (e investitori) di minoranza delle società italiane non quotate, la cui tutela è frequentemente affidata (anche) alle clausole statutarie che stabiliscono maggioranze qualificate per l’approvazione degli aumenti di capitale.
Descritta la norma, si svolgeranno alcune considerazioni sulle conseguenze e le possibili tutele per i soci di minoranza, limitatamente alle società non quotate.
Decreto Semplificazioni: la diminuzione delle maggioranze per l’approvazione degli aumenti di capitale nelle società per azioni, nelle società in accomandita per azioni e nelle società a responsabilità limitata italiane
L’art. 44 del D.L. 16.7.2020 n. 76 (cosiddetto ‘Decreto Semplificazioni’)[1] ha diminuito in via temporanea, sino al 30.6.2021, le maggioranze per l’approvazione da parte dell’assemblea straordinaria di alcune deliberazioni di aumento del capitale sociale.
La norma riguarda tutte le società di capitali, comprese quelle quotate. Si applica alle deliberazioni dell’assemblea straordinaria aventi ad oggetto:
- gli aumenti di capitale mediante conferimenti in danaro, di beni in natura o di crediti, ai sensi degli artt. 2439, 2440 e 2441 c.c. (relativi alle società per azioni e alle società in accomandita per azioni) e degli artt. 2480, 2481 e 2481-bis c.c. (relativi alle società a responsabilità limitata);
- l’attribuzione agli amministratori della facoltà di aumentare il capitale, ai sensi dell’art. 2443 c.c. (relativo alle società per azioni e alle società in accomandita per azioni) e dell’art. 2480 c.c. (relativo alle società a responsabilità limitata).
La disciplina ordinaria prevede, per le deliberazioni sopra indicate, le seguenti maggioranze:
- per le società per azioni e le società in accomandita per azioni: (i) in prima convocazione una maggioranza deliberativa di più della metà del capitale sociale (art. 2368, secondo comma, c.c.); (ii) in seconda convocazione una maggioranza deliberativa dei due terzi del capitale sociale rappresentato in assemblea (art. 2369, terzo comma, c.c.);
- per le società a responsabilità limitata, una maggioranza deliberativa di più della metà del capitale sociale (art. 2479-bis, terzo comma, c.c.);
- per le società quotate una maggioranza deliberativa dei due terzi del capitale sociale rappresentato in assemblea (art. 2368, secondo comma e art. 2369, terzo comma, c.c.).
Soprattutto, la disciplina ordinaria consente di stabilire nello statuto maggioranze costitutive e deliberative qualificate, cioè più elevate di quelle di legge.
La disciplina temporanea dell’art. 44 del Decreto Semplificazioni prevede che le deliberazioni siano approvate con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea, a condizione che sia presente almeno la metà del capitale sociale. Questa maggioranza sia applica anche qualora lo statuto preveda maggioranze più elevate.
Decreto Semplificazioni: l’impatto della diminuzione delle maggioranze per l’approvazione degli aumenti di capitale sui soci di minoranza delle società non quotate italiane
La norma ha un rilevante impatto sulla posizione dei soci (e investitori) di minoranza delle società italiane non quotate. È fortemente criticabile, in particolare nella parte in cui consente di derogare alle maggioranze più elevate stabilite nello statuto, perché incide sui rapporti in corso e sugli equilibri concordati tra i soci e riflessi nello statuto.
Le maggioranze qualificate, più elevate di quelle di legge, per l’approvazione degli aumenti di capitale sono una tutela fondamentale per i soci (e gli investitori) di minoranza. Vengono frequentemente introdotte nello statuto: in sede di costituzione della società con più soci, nell’ambito di operazioni di aggregazione, in operazioni di investimento, di private equity e di venture capital.
Le maggioranze qualificate impediscono ai soci di maggioranza di realizzare senza il consenso dei soci di minoranza (o di alcuni di essi), operazioni che hanno un impatto rilevante sulla società e sulla posizione dei soci di minoranza. Infatti, gli aumenti di capitale mediante conferimenti di beni riducono la percentuale di partecipazione del socio di minoranza e possono modificare significativamente l’attività della società (ad esempio, con il conferimento di azienda). Gli aumenti di capitale in denaro mettono il socio di minoranza di fronte all’alternativa tra investire ulteriormente nella società o ridurre la propria partecipazione.
La riduzione della percentuale di partecipazione può implicare la perdita di importanti tutele, connesse al possesso di una partecipazione superiore a una determinata soglia. Si tratta non solo di alcuni diritti previsti dalla legge in favore dei soci di minoranza[2], ma – con effetti ancora più gravi – delle tutele derivanti dalle maggioranze qualificate previste nello statuto per l’assunzione di determinate decisioni. Il caso più eclatante è quello della maggioranza qualificata per le deliberazioni che modificano lo statuto sociale, affinché le modifiche non possano essere approvate senza il consenso dei soci di minoranza (o di alcuni di essi). Questa è una clausola fondamentale, per assicurare stabilità alle disposizioni statutarie, concordate tra i soci, a tutela del socio o dei soci di minoranza, quali ad esempio i diritti di prelazione e co-vendita, il voto di lista per la nomina del consiglio di amministrazione, le maggioranze qualificate per l’assunzione di decisioni dell’assemblea o del consiglio di amministrazione, i limiti ai poteri delegabili dal consiglio di amministrazione. Attraverso l’aumento di capitale, la maggioranza può ottenere una percentuale di partecipazione che le consenta di modificare lo statuto, scardinando unilateralmente l’assetto di governance concordato con gli altri soci.
Il legislatore si è disinteressato di tutto questo e ha introdotto una norma che non semplifica. Piuttosto alimenta i conflitti tra i soci e mina la certezza del diritto, così allontanando gli investimenti anziché incentivarli.
Decreto Semplificazioni: verifiche e tutele per i soci di minoranza rispetto alla diminuzione delle maggioranze per l’approvazione degli aumenti di capitale
Per valutare la situazione e le tutele del socio di minoranza occorre esaminare l’eventuale patto parasociale vigente tra i soci. L’esistenza di un patto parasociale sarà pressoché certa in operazioni di private equity o venture capital o da parte di altri investitori professionali. Ma al di fuori di questi casi sono tantissime le società, specialmente tra le piccole e medie imprese, in cui i rapporti tra i soci sono disciplinati esclusivamente dallo statuto.
Nel patto parasociale dovrà essere verificato se vi siano clausole che obblighino i soci, quali parti del patto, ad approvare gli aumenti di capitale con maggioranza qualificata, cioè più elevata di quelle di legge. Oppure se il patto richiami un testo di statuto (allegandolo o attraverso un rinvio specifico) che preveda tale maggioranza, cosicché si possa ritenere che il rispetto della maggioranza qualificata costituisca una obbligazione assunta dalle parti del patto parasociale.
In questo caso, il patto parasociale tutelerà il socio o i soci di minoranza, in quanto l’art. 44 del Decreto Semplificazioni non introduce una deroga alle clausole del patto parasociale.
La tutela offerta dal patto parasociale è forte, ma inferiore rispetto a quella dello statuto. La clausola dello statuto che prevede una maggioranza qualificata vincola tutti i soci e la società, pertanto l’aumento del capitale non può essere validamente approvato in violazione dello statuto. Il patto parasociale, invece, ha efficacia solo obbligatoria (tra le parti del patto), per cui non impedisce l’approvazione da parte della società dell’aumento del capitale, anche qualora il voto del socio violi le obbligazioni del patto parasociale. In questo caso, gli altri soci avranno il diritto al risarcimento del danno subito in conseguenza della violazione del patto.
In assenza di un patto parasociale che obblighi i soci a rispettare una maggioranza qualificata per l’approvazione dell’aumento del capitale, al socio di minoranza resta unicamente la possibilità di impugnare la delibera di aumento del capitale, per vizio di abuso di maggioranza, qualora la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società e il voto del socio di maggioranza persegua un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale, ovvero qualora sia lo strumento di una attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a ledere i diritti dei soci di minoranza[3]. Strada molto in salita e tutela certamente insufficiente.
[1] Il Decreto Semplificazioni è stato convertito in legge dalla L. 11 settembre 2020, n. 120. La legge di conversione ha sostituito l’art. 44 del Decreto Semplificazioni, estendendo la disciplina temporanea ivi prevista agli aumenti di capitale in denaro e agli aumenti di capitale delle società a responsabilità limitata.
[2] Ad esempio: la percentuale del 10% (33% per le società a responsabilità limitata) per il diritto dei soci di ottenere la convocazione dell’assemblea (art. 2367, c.c.; art. 2479, c.c.); la percentuale del 20% (10% per le società a responsabilità limitata) per impedire la rinuncia o la transazione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2393, comma sesto, c.c.; art. 2476, comma quinto, c.c.); la percentuale del 20% per l’esercizio da parte del socio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2393-bis, c.c.).
[3] Cass. Civ. 12 dicembre 2005, n. 27387; Trib. Roma, 31 marzo 2017, n. 6452.
Le operazioni di acquisizione (M&A) in Italia, nella maggior parte dei casi, vengono realizzate attraverso acquisto di partecipazioni (‘share deal’) o di azienda o ramo d’azienda (‘asset deal’). Per ragioni principalmente fiscali sono più frequenti gli share deal rispetto agli asset deal, nonostante l’asset deal consenta una migliore limitazione dei rischi per l’acquirente. Vedremo le principali differenze tra share deal e asset deal in termini di rischi e di rapporti tra venditore e acquirente.
Preferenza per operazioni di M&A mediante acquisto di partecipazioni (‘share deal’) rispetto ad acquisto di azienda o ramo d’azienda (‘asset deal’) nel mercato italiano
In Italia, le operazione di acquisizione (M&A) vengono realizzate, nella maggior parte dei casi, attraverso acquisto di partecipazioni (‘share deal’) o di azienda o ramo d’azienda (‘asset deal’). Altre modalità, come la fusione, sono meno frequenti.
Con l’acquisto di quote o azioni della società acquisita (‘share deal’) l’acquirente acquisisce, indirettamente, l’intero patrimonio aziendale (attività, passività, rapporti) e quindi si fa carico di tutti i rischi relativi alla precedente gestione della società.
Con l’acquisto dell’azienda o di un ramo d’azienda (‘asset deal’) l’acquirente acquisisce un insieme di beni e rapporti organizzati per l’esercizio dell’impresa (immobili, impianti, dipendenti, contratti, crediti, debiti, ecc.). Il vantaggio dell’asset deal risiede nella possibilità per le parti di definire il perimetro del trasferimento e, quindi, per l’acquirente, di limitare i rischi legali dell’operazione.
Nonostante questo vantaggio, la maggior parte delle operazioni di acquisizione in Italia avviene attraverso acquisto di partecipazioni. Nel 2018 gli acquisti di partecipazioni (azioni o quote) sono state circa 78.400, mentre le cessioni di azienda sono state circa 35.900 (fonte: www.notariato.it/it/news/dati-statistici-notarili-anno-2018). E va osservato che il dato delle cessioni d’azienda comprende anche le aziende di piccole o piccolissime dimensioni esercitate da imprenditori individuali, per le quali l’alternativa dello share deal (pur praticabile, attraverso il conferimento dell’azienda in una newco e la cessione delle partecipazioni nella newco) non è percorribile in concreto per ragioni di costo.
Costi fiscali delle operazioni di acquisizione (M&A) in Italia
La principale ragione della preferenza per l’acquisto di partecipazione (‘share deal’) rispetto all’acquisto di azienda (‘asset deal’) risiede nei costi fiscali dell’operazione. Vediamo quali sono, in linea generale.
Nell’acquisto di partecipazioni, le imposte dirette a carico del venditore vengono calcolate sulla plusvalenza, secondo le seguenti percentuali:
- se il venditore è una società di capitali (s.p.a.; s.r.l.; s.a.p.a.) l’aliquota è del 24% della plusvalenza. Ma, a determinate condizioni, si applica il regime della c.d. PEX (participation exemption) con applicazione dell’aliquota del 24% solo sul 5% della plusvalenza.
- Se il venditore è una persona fisica l’aliquota sulla plusvalenza è del 26%.
- Se il venditore è una società di persone (s.s.; s.n.c..; s.a.s.) la plusvalenza è integralmente imponibile, tuttavia al ricorrere di determinate condizioni, l’imponibilità è limitata al 60% dell’ammontare della plusvalenza. In entrambi i casi l’aliquota applicabile è quella marginale riferita a ciascun socio a cui il reddito viene imputato per trasparenza.
Nell’acquisto di partecipazioni si applica l’imposta di registro, normalmente a carico dell’acquirente, di euro 200.
Anche nell’acquisto di azienda, le imposte dirette a carico del venditore vengono calcolate sulla plusvalenza. Se il venditore è una società di capitali, l’aliquota è del 24% della plusvalenza. Se il venditore è una società di persone (con soci persone fisiche) o un imprenditore individuale, le aliquote dipendono dal reddito del venditore.
Nell’acquisto di azienda si applicano le imposte indirette, normalmente a carico dell’acquirente, calcolate sulla parte del prezzo attribuibile ai singoli beni trasferiti. Il prezzo è il risultato delle attività trasferite detratte le passività trasferite. Le percentuali sono diverse a seconda del tipo di beni. In generale:
- ai beni mobili si applica una imposta di registro del 3%;
- all’avviamento si applica una imposta di registro del 3%;
- ai fabbricati si applica una imposta di registro del 9% (e imposte ipotecarie e catastali in misura fissa di euro 50 ciascuna);
- ai terreni si applica una imposta di registro tra il 9 e il 12% (a seconda dell’acquirente) e imposte ipotecarie e catastali in misura fissa di euro 50 ciascuna.
Nel caso in cui l’azienda sia composta da beni soggetti ad aliquote diverse e le parti abbiano pattuito un corrispettivo unico, senza distinzione in merito al valore attribuibile ai singoli beni, l’imposta deve calcolarsi applicando all’unico corrispettivo pattuito l’aliquota più elevata.
Va sottolineato che l’Agenzia delle Entrate può sottoporre ad accertamento il valore attribuito dalle parti ai beni immobili e all’avviamento, con conseguente rischio di applicazione di maggiori imposte.
Share deal e asset deal: rischi e responsabilità verso i terzi
Nell’acquisto di quote o azioni (‘share deal’) l’acquirente si fa carico, indirettamente, di tutti i rischi relativi alla precedente gestione della società.
Nell’acquisto dell’azienda o di un ramo d’azienda (‘asset deal’), invece, le parti possono decidere il perimetro del trasferimento (quali beni e rapporti) così stabilendo, nei rapporti tra loro, i rischi che l’acquirente assume.
Vi sono però alcune norme, che le parti non possono derogare, relative ai rapporti con i terzi, che influiscono significativamente sui rischi per il venditore e l’acquirente e quindi sulla negoziazione dell’accordo tra le parti. Le principali sono le seguenti.
- Lavoratori dipendenti: il rapporto di lavoro continua con l’acquirente dell’azienda. Il venditore e l’acquirente sono obbligati in solido per tutti i crediti del lavoratore al momento del trasferimento (art. 2112 c.c.).
- Debiti: il venditore è obbligato al pagamento di tutti i debiti sino alla data del trasferimento. L’acquirente è obbligato per i debiti che risultano dai libri contabili (art. 2560 c.c.).
- Debiti e responsabilità fiscali: il venditore è obbligato al pagamento di debiti, imposte e sanzioni fiscali relative al periodo sino alla data del trasferimento.
L’acquirente, in aggiunta all’obbligo relativo ai debiti fiscali che risultano dai libri contabili (art. 2560 c.c.), è responsabile per le imposte e sanzioni, anche se non risultano dai libri contabili, con i seguenti limiti (art. 14 D.lgs. 472/1997): - beneficio della preventiva escussione del venditore;
- fino al valore dell’azienda o del ramo d’azienda acquistato;
- per le imposte e sanzioni non ancora contestate, la responsabilità riguarda solo quelle relative all’anno della vendita dell’azienda e ai due precedenti; per le imposte e sanzioni relative al periodo anteriore ai due anni precedenti la vendita dell’azienda, la responsabilità riguarda solo quelle contestate entro tale periodo;
- nei limiti del debito risultante alla data di trasferimento dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria. L’Agenzia delle Entrate è tenuta a rilasciare un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e sui debiti. Il certificato negativo, o non rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta, libera l’acquirente da responsabilità.
- Contratti: le parti possono scegliere quali contratti trasferire. Rispetto ai contratti trasferiti, l’acquirente subentra, anche senza il consenso del terzo contraente, nei contratti per l’esercizio dell’azienda che non hanno carattere personale (sono a carattere personale quelli che prevedono da parte del venditore una prestazione oggettivamente infungibile o soggettivamente infungibile). Inoltre il terzo contraente può recedere dal contratto entro tre mesi, se sussiste una giusta causa (ad esempio se l’acquirente non garantisce, per la propria situazione patrimoniale o per capacità tecniche, di poter adempiere al contratto) (art. 2558 c.c.).
Alcuni strumenti per affrontare i rischi
Per affrontare i rischi derivanti dalle responsabilità verso i terzi e i rischi generali connessi all’acquisizione, vi sono diversi strumenti negoziali e contrattuali che possono essere utilizzati. Vediamone alcuni.
Nelle operazioni di acquisto dell’azienda o di rami d’azienda (‘asset deal’):
- Lavoratori dipendenti: è possibile concordare con il lavoratore modifiche alle condizioni contrattuali e rinunce alla responsabilità solidale dell’acquirente e del venditore (ex art. 2112 c.c.). L’accordo con i lavoratore per essere valido deve essere concluso in sede ‘protetta’ (ad esempio: con l’assistenza delle organizzazioni sindacali).
- Debiti:
- trasferire all’acquirente i debiti riducendo il prezzo in misura corrispondente; la riduzione del prezzo comporta, inoltre, una minor costo fiscale dell’operazione. In caso di trasferimento dei debiti, per tutelare il venditore si può ottenere dal creditore una dichiarazione di liberazione del venditore dalla responsabilità ex art. 2560 c.c.; oppure si può prevedere che il pagamento del debito da parte dell’acquirente avvenga contestualmente al trasferimento dell’azienda (‘closing’).
- Per i debiti non trasferiti all’acquirente, ottenere dal creditore una dichiarazione di liberazione dell’acquirente dalla responsabilità ex art. 2560 c.c.
- Per i debiti per i quali non sia possibile ottenere la dichiarazione di liberazione da parte del creditore, pattuire forme di garanzia a favore del venditore (per i debiti trasferiti) o a favore dell’acquirente (per i debiti non trasferiti), quali ad esempio la dilazione del pagamento (a favore dell’acquirente) di parte del prezzo, il deposito fiduciario (‘escrow’) di parte del prezzo, fideiussioni bancarie o da parte dei soci.
- Debiti e responsabilità fiscali:
- ottenere dall’Agenzia delle Entrate il certificato ex art. 14 D.lgs. 472/1997 sui debiti e le contestazioni in corso;
- trasferire all’acquirente i debiti riducendo il prezzo in misura corrispondente;
- pattuire le forme di garanzia a favore del venditore (per i debiti trasferiti) e a favore dell’acquirente (per i debiti non trasferiti o per le contestazioni che non sono ancora debiti), quali ad esempio quelle sopra esposte per i debiti in generale.
- Contratti: per quelli che vengono trasferiti:
- verificare che le prestazioni a carico del venditore sino alla data del trasferimento siano state regolarmente adempiute, per evitare il rischio di contestazioni del terzo contraente che possono bloccare l’esecuzione del contratto;
- almeno per i contratti più importanti (e salvo ragioni di riservatezza), cercare di ottenere conferma dal terzo contraente del benestare al trasferimento del contratto.
Nelle operazioni di acquisto di partecipazioni (‘share deal’), in cui l’acquirente si fa carico, indirettamente, di tutti i rischi relativi alla precedente gestione della società, alcuni strumenti sono:
- Due diligence. Svolgere una approfondita due diligence legale, fiscale e contabile sulla società, per valutare preventivamente i rischi e gestirli nella trattativa e nei contratti.
- Dichiarazioni e garanzie (‘R&W’) e indennizzo. Prevedere nel contratto di acquisizione (‘share purchase agreement’) un set dettagliato di dichiarazioni e garanzie – e obblighi di indennizzo in caso di non conformità – a carico del venditore relativamente alla situazione della società (‘business warranties’: bilancio; situazione patrimoniale di riferimento; contratti; contenzioso; rispetto della normativa ambientale; autorizzazioni per lo svolgimento dell’attività; debiti; crediti ecc.). La trattativa sulle dichiarazioni e garanzie normalmente recepisce, gestendoli, gli esiti della due diligence (ad esempio: viene escluso dalle dichiarazioni e garanzie e dall’indennizzo un contenzioso emerso in due diligence, del quale le parti tengono conto nella definizione del prezzo). La pattuizione di dichiarazioni e garanzie sulla situazione della società (‘business warranties’) e dell’obbligo di indennizzo sono necessari negli share deal in Italia, in quanto in mancanza di tali clausole l’acquirente non può ottenere dal venditore (salvo situazioni estreme e molto rare) un risarcimento o indennizzo in caso la situazione della società sia diversa da quella considerata al momento dell’acquisto (così ad esempio: Cass. Civ. 16963/2014).
- Garanzie per l’acquirente. Strumenti per garantire all’acquirente l’effettiva possibilità di ottenere l’indennizzo (o parte dell’indennizzo) in caso di non conformità delle dichiarazioni e garanzie. Tra queste: (a) la dilazione del pagamento di parte del prezzo; (b) il versamento di parte del prezzo in un deposito fiduciario (‘escrow’) per la durata delle dichiarazioni e garanzie e, in caso di contestazioni, fino a che la contestazione non è definita; (c) fideiussione bancaria;; (d) polizza W&I, contratto di assicurazione che copre il rischio dell’acquirente in caso di violazioni di dichiarazioni e garanzie, sino ad un importo massimo (ed esclusi alcuni rischi).
Altri fattori che incidono sulla scelta tra share deal e asset deal
Naturalmente la scelta di realizzare un’operazione di acquisizione in Italia mediante share deal o asset deal, dipende anche da altri fattori oltre a quello dei costi fiscali dell’operazione. Eccone alcuni.
- Acquisto di parte del business. Si sceglie l’asset deal, quando l’operazione non riguarda l’acquisto dell’intera azienda del venditore ma solo una sua parte (un ramo d’azienda).
- Situazione della società problematica. Si sceglie l’asset deal quando la situazione della società target è così problematica che l’acquirente non è disponibile ad assumere tutti i rischi derivanti dalla precedente gestione, ma solo parte di essi.
- Mantenimento di un ruolo da parte del venditore. Si sceglie lo share deal quando si vuole conservare al venditore un ruolo nella società acquisita. In questo caso, oltre ad un ruolo nel management, è frequente il mantenimento da parte del venditore di una partecipazione di minoranza, con clausole di exit (diritti di put e call) decorso un certo periodo di tempo. Clausole che, spesso, legano il prezzo ai risultati futuri e, quindi, nell’interesse dell’acquirente incentivano il venditore nel ruolo manageriale e, nell’interesse del venditore, valorizzano prospettive reddituali non concretizzate al momento dell’acquisto.
Cyprus is emerging as a new investment fund centre in Europe following the efforts for evolving and upgrading the regulatory and compliance framework which was initiated in the late 1990s. The enactment of the Alternative Investment Funds Law, No. 131(I)/2014 (AIF Law) is the latest development which aimed at the creation of an attractive and competitive environment for further enhancement and development of the alternative funds industry in Cyprus. The AIF Law replaced the previous regime under which Cyprus managed to develop into a regional domicile for investment funds and their managers.
The following possibilities for alternative investment funds (AIFs) were introduced by the AIF Law:
- Umbrella funds with multiple investment compartments/sub-funds which may adopt different investment policies and manage different pools of assets
- Transferability of shares
- Public offerings of AIF’s shares or units
- Listing of securities issued by AIFs
AIFs may be open-ended or closed-ended and may take one of the following legal forms:
- Fixed Capital Company
- Variable Capital Company
- Limited Partnership
- Common Fund (contractual)
The relevant rules applicable to the respective legal form are based on Anglo-Saxon common law principles which are incorporated in Cyprus law (company law, partnerships law and contract law etc.).
AIFs may have a limited or unlimited duration.
Investor Classification
AIFs may be established either to be marketed to retail investors or to professional and/or well informed investors (see below for the exception applicable to AIFs with limited number of persons). Investor classification is to be made on the following basis:
- Professional Investor: For an investor to be considered as professional investor the requirements for professional clients under Markets in Financial Instruments Directive 2004/39/EC (MIFID) must be satisfied. A basic characteristic of professional investors is the fact that they possess the experience, knowledge and expertise to make their own investment decisions and to properly assess the risks they incur.
- Well-Informed Investor: A well-informed investor is not a professional investor within the above meaning but one who:
- confirms in writing the well-informed investor status and awareness of the risks related with the proposed investment; and
- makes an investment of at least €125.000 or has been assessed as having the expertise, experience and knowledge in evaluating the suitability of the investment opportunity in the AIF by a credit institution, investment firm or a management company for Undertakings for the collective Investment in Transferable Securities (UCITS Management Company)
- Retail Investor: A retail investor is an investor who does not fulfil the above requirements so as to be classified as a professional or well-informed investor.
Types of AIFs
The AIF Law allows for the establishment of AIFs to be addressed to an unlimited number of investors as well as for funds addressed to a limited number of persons (maximum 75) who may only be professional and/or well-informed investors.
AIFs to be addressed to an unlimited number of investors must to comply with minimum initial capital requirements i.e. €125.000 if externally managed and €300.000 if self-managed.
AIFs may be subject to investment restrictions depending on the investor type, the category of the assets to be held in their portfolio and the overall investment policy to be adopted. On the other hand, AIFs with limited number of investors are subject to a lighter legal and regulatory framework and are not subject to investment restrictions or investment limits.
Management of AIFs
AIFs may be managed externally by a manager appointed to perform the management of the portfolio of assets and related services. Different entities may undertake this role depending on the type of AIF:
- For AIFs with unlimited number of investors the external manager may be:
- An Alternative Investment Fund Manager (AIFM) established under local law or under the Alternative Investment Fund Managers Directive
- A UCITS Management Company established under local law or under the Undertakings for the collective Investment in Transferable Securities Directive
- A MIFID Investment Firm established under local law
- An AIFM established in a third country but complying with the relevant provisions of the local legislation
- For AIFs with limited number of investors the external manager may be:
- A MIFID Investment Firm established under local law or the MIFID
- A UCITs Management Company established under local law
- An entity established under local law solely for the purpose of managing a specific AIF with limited number of investors
- An entity established in a third country and licensed to provide asset management services and subject to prudential supervision
In the case of AIFs which are companies, the AIF Law provides the option of self-management whereby the management of the portfolio of assets is performed by the board of directors subject to certain restrictions (cap on value of the assets under management, restrictions on leverage, lock-up periods).
Depositary
The depositary of an AIF may be a credit institution or a MIFID Investment Firm or other entity which is subject to prudential regulation and ongoing supervision and which is eligible to act as depositary under its home state legislation.
The depositary must have its registered office in Cyprus or in another member state of the European Union or in a third country, provided that the Cyprus Securities Exchange Commission has signed with the competent authorities of the third country a Memorandum of Understanding for Cooperation and Exchange of Information.
Under certain circumstances it is possible for small AIFs with limited number of persons not to appoint a depositary.
Utilisation of the AIFs
AIFs may be utilised for investments in a wide range of asset classes. Such funds have been established for investments in debt and equity securities as well as real estate and private equity. In a structure with multiple investment compartments/sub-funds, different compartments/sub-funds may invest in diverse asset classes.
Key benefits
- Cost-efficient and simple set-up process with fees being significantly lower than in the more mature fund centres e.g. Ireland and Luxembourg
- A single and accessible regulator for the alternative funds and their managers
- Flexibility as to the asset classes that may be included in the AIF portfolio
- Transparency, reporting and risk management aiming at investor protection
- Regulated environment in line with the European Union regulatory framework for Alternative Investment Fund Managers, MIFID Investment Firms and UCITSs
- Passporting of the marketing of funds in the European Union where the manager is an AIFM
- Redomiciliation in and out of Cyprus is possible
Taxation
Cyprus’ growth in this sector has been driven by the country’s tax treaty network, originally rendering it a jurisdiction for launching investments funds with investments primarily into Russia, the former Soviet republics and Eastern Europe but recently also in Asian countries.
Main aspects of tax treatment in Cyprus:
- Subject to 12.5% flat corporation tax
- Exemption from tax on dividends received by the AIF
- Exemption from tax on profits from sale of securities or other instruments (except where the securities are in companies owning immovable property in Cyprus)
- No subscription tax on assets of funds
- Exemption on capital gains tax from the sale of immovable property located outside Cyprus
- No capital gains tax on disposal of shares/units by the holders
- Benefiting from an extensive network of more than 50 double tax treaties offering interesting tax planning opportunities
In a rapidly changing funds industry, the options and opportunities available for the setting up and operation of alternative investment funds under the Cyprus regulatory regime are worth exploring by fund managers, investors and their advisors.